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Il modello evolutivo strutturalista di Vittorio Guidano e Giovanni Liotti

di Alessandra Pace

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La discrepanza tra l’esperienza tacita delle informazioni che non corroborano gli assunti nucleari e gli schemi difensivi espliciti, viene evidenziata da eventi scompensanti. La sintomatologia che emerge è un’attività diversiva che ha lo scopo di riequlibrare il sistema senza modificare gli schemi nucleari (1988b, 138-143). Queste posizioni erano già presenti nel modello originario, ma negli ultimi scritti Guidano polarizza tutto il processo conoscitivo all’interno della persona stessa, arrivando ad affermare (1988a, 310) che i processi cognitivi sono delle vere e proprie azioni autoreferenziali sulla realtà sia interna che esterna. Malgrado la radicalizzazione delle posizioni costruttiviste, Guidano non nega il ruolo dell’ambiente esterno e specialmente delle prime relazioni d’attaccamento, nello strutturarsi della personalità e della conoscenza. Egli ritiene ancora valido il principio del looking-glass self (1988b, 48) e afferma chiaramente che tutti i fattori che intervengono nella strutturazione del Sé, sono spiegati dalla teoria dell’attaccamento (1988a, 312). Ma anche in questo caso la relazione col mondo non ha altra funzione che fornire dei contenuti che il bambino possa organizzare autoreferenzialmente. Quest’ultimo elemento è ribadito chiaramente quando Guidano (1988b, 48-53) spiega il rapporto tra un Sé autoreferenziale che tende all’unitarità e l’esperienza interpersonale dell’attaccamento. Infatti, è proprio l’unicità della relazione d’attaccamento a fornire al bambino un quadro di riferimento unitario in cui organizzare tutti i “frammenti” relativi al Sé. Questa unicità, per cui il bambino tende a scegliere una figura d’attaccamento principale con la quale ha un legame unico e con cui tende ad identificarsi ed a modellarsi, è anch’essa una strategia autoreferenziale che lo aiuta a percepirsi in termini unitari. Lo stile di attaccamento che il bambino esibirà, anche nella vita adulta, rappresenta un modello autoreferenziale, che preserva la coerenza del significato personale attraverso la produzione di esperienze emozionali che confermino la percezione di sé. In Il Sé nel suo divenire (1992, 9), poi, l’autore aggiunge che il Sé, essendo autocosciente, è un processo in cui compaiono due dimensioni fondamentali: l’essere soggetto (“Io” che esperisce) e il sentirsi oggetto (“Me”, ossia l’immagine di sé). E’ questa bipolarità che consente all’ “Io” di riconoscer-si come un “Me” attraverso l’immagine riflessa nello specchio degli altri, per cui la coscienza di sé è sempre coscienza degli altri e può esistere solo in un linguaggio e in un contesto storico (1992, 14). In altre parole, Guidano ammette che il Sé non è primordiale e che emerge attraverso le interazioni con i “conspecifici”. In questo processo, però, la stabilizzazione di un “Me” (ossia il senso definito di sé) “non può più essere assicurata solo attraverso il livello di reciprocità che deriva dalle relazioni in corso, ma va ottenuta riflessivamente, cioè con un impegno specifico nei confronti della vita capace di dar forma all’unicità del proprio essere una persona (Io)” (1992, 31). In questo modo, la focalizzazione rimane sempre sulle funzioni costruttive individuali.