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Lo scarabocchio: un'attività della mente.

di Rocco Quaglia

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Nei disegni di Michele appaiono con molta evidenza i tracciati che indicano un’attività piacevole (fig.7b) da quelli che rappresentano un’azione subita e avvertita come spiacevole (fig.7c). Fig. 6-Il gioco dello scatolino Fig. 7-Disegni su Luca Nei disegni di Elena (2a,8m) è possibile intravedere ancor più chiaramente quanto è stato fin qui esposto. Si coglie una notevole differenza tra lo scarabocchio in cui la piccola riproduce se stessa (fig.8) e lo scarabocchio in cui riproduce Fabio, il bambino che le “fa i dispetti e la spinge” (fig.9). Il tracciato che simboleggia Elena, curvilineo e morbido, rappresenterebbe una situazione ludica piacevole, mentre il tracciato che simboleggia Fabio, marcato e appuntito, rappresenterebbe quest’ultimo nell’atto di “spingere”. I due tipi di tracciati, arrotondato, in un caso, e spezzato, nell’altro, non esprimerebbero soltanto un’azione in quanto tale, ma anche e soprattutto una “qualità buona” o una “qualità cattiva” dell’azione stessa. Fig.8-Autoritratto di Elena Fig. 9-Fabio che fa i dispetti In questi tipi di scarabocchi, il bambino si esprime con il movimento della linea, o meglio con le caratteristiche di tale movimento, associandole a personaggi e ad azioni qualitativamente diverse (Longobardi et al, 2001). Il foglio diventa, così, lo spazio del suo gioco, e la linea lo strumento che anima i suoi personaggi e le sue fantasie. L'attribuzione di un nome ad uno scarabocchio, pertanto, non indicherebbe nel bambino alcuna intenzionalità di voler rappresentare oggetti della realtà, e neppure il riconoscimento di una qualche somiglianza tra il suo prodotto e un qualunque oggetto, ma semplicemente dimostrerebbe che gli scarabocchi sono diventati testimonianze di espe¬rienze con oggetti sperimentati dal bambino soprattutto attraverso un atteggiamento affettivo. 2. La linea come movimento “È facile vedere che le reazioni del bambino sono anzitutto dirette essenzialmente alle proprietà dinamiche degli oggetti. Più egli cresce, più la sua risposta viene condizionata dalle loro qualità statiche, per esempio, dalla loro forma o dal loro colore caratteristico” (Werner 1970, p. 70). Le qualità fisico-geometriche della realtà sono l’ultima forma di conoscenza. In principio, tutto il comportamento del neonato si può definire dicendo “che per lui il mondo è essenzialmente una realtà da succhiare” (Piaget, 1964, 1967, p.18). Successivamente, soprattutto con l’acquisizione della deambulazione eretta, il bambino rivolge il suo interesse sempre più verso gli oggetti del mondo. È, questa, la fase del no di Spitz, o della sottofase di riavvicinamento di Margaret Mahler (1975) (15-18 mesi), o ancora della comparsa dell’esame di realtà (Freud, 1925). In breve, è la fase in cui il bambino scopre i “pericoli” del mondo. Le persone, le esperienze e gli oggetti tendono a dividersi in buoni e in cattivi. Ora, è in questo periodo che nasce l’attività grafica del bambino sotto forma di scarabocchi nella forma, sia “buona”, sia “cattiva”. Tuttavia, non è solo l’atteggiamento affettivo ad influenzare nel bambino il modo di sperimentare gli oggetti; essenziale è anche l’atteggiamento motorio a determinare una percezione dinamica della realtà (Werner, Kaplan, 1984).